Inauguro una rubrica che mi è venuta in mente scrivendo il pezzo su Adolescence. Di tanto in tanto, fra un film e una serie, parleremo anche dei grandi registi che hanno aiutato a rendere grande il cinema. Buona lettura!
Quando ho visto il primo Signore degli Anelli
Quando ho visto il primo Signore degli Anelli è successo qualcosa di incredibile dentro la mia testa, si sono allineate tutte le mie idee, le mie speranze e le mie visioni; quelle cinematografiche e quelle di futuro.
Quando ho visto il primo Signore degli Anelli ho pensato:
“io questa cosa la voglio fare, voglio fare il cinema, toccarlo, parlarne, viverlo”.
Ovviamente ero un bambino, il mondo non mi sembrava così grande, i miei sogni avevano la forza di un uragano e tutto sembrava fattibile.
Altre due volte ho avuto una sensazione simile ma parleremo dei registi e dei film nello specifico in altre newsletter future.
La scoperta di Peter Jackson
Quando ho visto il primo LOTR (Lord of the Rings, lo chiameremo così d’ora in avanti per comodità) io ho conosciuto Peter Jackson, o meglio la sua storia personale e cinematografica ed era, per alcuni aspetti, simile alla mia: figlio di due genitori che facevano tutto fuorché il cinema e tanta voglia di creare.
Diciamo che si è ben capito di chi voglio parlare in questa monografia: Peter Jackson.
La sua forza è stata quella di essere una persona super in fissa con il cinema fin da bambino, affascinato dalla magia della ripresa, del montaggio e delle storie. Ha iniziato fin dai 10 anni a girare piccoli cortometraggi con i suoi amici, cortometraggi che non finirà mai. Anche in questo trovo delle similitudini.
Le origini e i primi esperimenti
Diamo contesto: Peter Jackson nasce il 31 ottobre 1961 a Pukerua Bay, una piccola località vicino a Wellington, Nuova Zelanda. Il cinema neozelandese era relativamente giovane, poco sviluppato e avanzato, benché avesse prodotto alcuni film di rilevanza.
La connessione con la pellicola avviene intorno ai 10 anni quando il papà gli fa provare una Super 8mm. Una di quelle camere familiari primordiali (Spielberg ci ha girato il suo primo cortometraggio per capirci, era nelle case di mezzo occidente).
Il suo primo corto fu The Dwarf Patrol, ambientato nella Seconda guerra mondiale e girato nel giardino di casa sua con alcuni suoi amici. In quell’occasione si intravede e intuisce la sua voglia di sperimentare e di creare da zero dove possibile. Da cosa lo si capisce?
Dal fatto che, per dare l’effetto del fuoco che fuoriusciva dalle canne dei fucili, bucò la pellicola con uno spillo e una volta montato il tutto, quando passava davanti la lampada del proiettore, l’effetto sulla pellicola era chiaro ed evidente: quei fucili sparavano veramente!
Ecco, vedete, solo l’amore per un processo che nasce prima dentro di noi, nelle nostre teste, e poi arriva fuori nel mondo reale può spingerci a sperimentare, a credere con gli occhi a ciò che abbiamo dentro.
Peter Jackson ha da sempre un amore per le immagini in movimento che è paragonabile a pochi e lo si vede anche nelle sue ultime opere, ma ci arriviamo.
L’inizio di una carriera
Con The Dwarf Patrol inizia la “carriera” di Peter Jackson, che diventerà il cardine della storia cinematografica neozelandese degli ultimi 30 anni.
Dopo il liceo lascia gli studi e inizia a lavorare per un giornale come incisore, lavoro che usava per comprare la pellicola per le riprese dei suoi progetti.
Corto dopo corto, idea dopo idea, fra progetti lasciati sospesi e non finiti, arriva alla realizzazione del primo vero e proprio corto The Valley (1976), per poi arrivare nel 1987 a dirigere il suo primo lungometraggio Bad Taste, commedia horror fantascientifica su un’invasione aliena in Nuova Zelanda.
Ambizione e frustrazione
Le visioni di Jackson erano quelle dei grandi registi americani e le frustrazioni erano quelle di chi non aveva la struttura per realizzare ciò che aveva in testa. La grande ambizione ha da sempre accompagnato la sua storia cinematografica.
Nasce Weta Digital
La prima grande pietra angolare viene posata nel 1993, quando fonda la Weta Digital (ora Weta FX) insieme a Richard Taylor e Jamie Selkirk a Wellington, prima società per effetti speciali e post produzione di rilievo in Nuova Zelanda, diventata poi famosa a tutti dopo l’uscita del primo LOTR.
Con la Weta produce e post-produce Sospesi nel tempo con Michael J. Fox con l’utilizzo di moltissimi computer e potenza di calcolo.
Alla fine della produzione l’investimento per i PC era ancora molto alto e poco ammortizzato e quindi che pensa il nostro compagnone Jackson?
“Ci girerò un nuovo film che avrà sicuramente bisogno di molta computer grafica: girerò Il Signore degli Anelli!”.
I diritti e il sogno LOTR
Nel 1995 sintetizza questa idea quando, con la moglie Fran Walsh (produttrice), collabora con la Miramax Film (ora non esiste più) per negoziare con Saul Zaentz (produttore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, Amadeus e Il paziente inglese, Oscar al miglior film per ognuna delle tre pellicole) i diritti di realizzazione e distribuzione cinematografica del LOTR.
La Miramax aveva idee diverse da quelle di Jackson e quindi la scrittura e la pre-produzione si arenarono fino al 1998, quando la New Line Cinema acquisì i diritti dalla Miramax permettendo così a Jackson di realizzare il film.
(Nel 1976 sono stati acquisiti i diritti cinematografici de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien, producendo nel 1978 un adattamento animato. Attraverso la sua compagnia, Tolkien Enterprises – ora Middle-earth Enterprises – sono stati mantenuti i diritti per film, spettacoli teatrali e merchandising legati alle opere di Tolkien.)
Il viaggio della trilogia
Da qui la storia di Peter Jackson inizia a intrecciarsi alla saga scritta da Tolkien in maniera talmente profonda da dargli problemi fisici e sintomi depressivi per lo sforzo profuso in tutta la produzione.
Anche qui: l’amore per un’idea ti fa fare cose folli.
La pre-produzione inizia intorno al 1997, culminando nell’inizio delle riprese a ottobre 1999, girando per 438 giorni consecutivi in 150 location in NZ e poi?
Poi anni di post-produzione incrociati con le riprese.
Vi spiego: nei 438 giorni di riprese furono inseriti tutti e tre i film da girare su set esterni e interni e il tutto venne organizzato per far sì che alla fine delle riprese del primo film una parte della troupe si spostasse a lavorare sulla realizzazione della post-produzione, mentre Peter Jackson faceva da spola fra la pre-produzione, la produzione e la post-produzione di tutti e tre i film.
Il tutto si interrompeva solo durante la release di uno dei film e tutta la campagna pubblicitaria legata allo stesso.
LOTR: un trionfo
La produzione durò circa 6 anni e, a mano a mano che i successi arrivavano, anche le tecnologie miglioravano e i soldi per poterle comprare aumentavano.
Questo si vede perfettamente nella grande qualità degli effetti speciali del secondo e del terzo film della saga.
Risultato?
17 Oscar vinti su 30 nomination e una delle saghe più epiche e con il più alto incasso della sua storia ed epoca.
(Forse solo Avatar potrà batterla – ah, tutta la VFX di Avatar viene creata e prodotta dalla Weta.)
Cosa significa girare tre film contemporaneamente?
Beh, significa avere un’ulcera, prendere 45 kg, perdere i capelli e entrare in deprivazione di sonno.
Il tutto per la realizzazione di sé stessi, perché di questo si tratta: quando si fa un film si inserisce una parte di noi all’interno della pellicola.
Il tutto è anche il retaggio di cosa significa credere nel futuro, vedere il proprio futuro.
Bad Taste: il primo sogno realizzato
Un’idea di cosa sarebbe stato il suo domani Peter Jackson però se la fece anni prima del LOTR, quando iniziò a girare Bad Taste.
Partito come un corto e trasformatosi in un lungometraggio, la vita e la storia del film è lunga e complessa: girato solo nei weekend perché in settimana lavorava.
Per la prima volta parla con la Film Commission neozelandese per ricevere dei fondi con scarso successo.
Poi il caso vuole che, durante un giorno lavorativo, Jackson si presenti a lavoro vestito da gorilla (costume che si era costruito interamente da solo), e gli vengono fatte delle foto.
I suoi colleghi scrivono un articolo su di lui e questo articolo viene letto da un produttore di una serie fantasy che stavano girando in NZ.
Una volta rintracciato viene assunto per fare delle bambole voodoo per la serie e chiede come compenso una cifra irrisoria, al che viene invitato a lavorare sul set per vedere com’era effettivamente una produzione vera.
Lì fa vedere il suo film alla troupe che rimane estasiata e gli consiglia di rimandare il girato alla Film Commission, che questa volta gli garantisce 10 mila dollari.
Sul set di quella serie conosce anche una donna che lo aiuterà con le scartoffie e con i suoi lavori futuri, donna che diventerà anche sua moglie: Fran Walsh.
La realizzazione di Bad Taste porta nuova linfa a Jackson e una fama molto più distribuita nei circoli cinematografici mondiali.
Il film verrà visto e poi venduto per la distribuzione grazie alla sua partecipazione a Cannes. Da lì in poi la sua storia la si conosce e in parte l’abbiamo già raccontata.
La consacrazione mondiale
Il successo planetario de Il Signore degli Anelli non solo consacrò Peter Jackson nell'olimpo dei registi, ma ridefinì anche le potenzialità del cinema fantasy ed epico, dimostrando che progetti ritenuti "impossibili" potevano diventare realtà tangibili e amate da milioni di persone.
La trilogia divenne un fenomeno culturale, influenzando generazioni di cineasti e spettatori, e trasformando la Nuova Zelanda in una meta turistica ambita dai fan di tutto il mondo.
L'impatto della Weta Digital, poi, andò ben oltre i confini neozelandesi, diventando un punto di riferimento globale per gli effetti visivi e speciali.
Dopo LOTR: King Kong
Ma cosa fa un regista dopo aver raggiunto un tale apice, dopo aver investito così tanto di sé, fisicamente ed emotivamente, in un'opera monumentale?
Per Peter Jackson, la risposta fu quasi ovvia: realizzare un altro sogno d'infanzia, un progetto che coltivava da ancora prima di pensare a Tolkien: King Kong.
Nel 2005, forte del credito quasi illimitato ottenuto con LOTR, Jackson portò sul grande schermo la sua versione del classico del 1933.
Fu un'altra produzione colossale, che spinse ulteriormente i limiti della tecnologia CGI (grazie sempre alla Weta) per dare vita alla Creatura e all'Isola del Teschio.
Anche qui, l'amore per il dettaglio e la fedeltà a una visione personale furono evidenti.
Il film fu un successo commerciale e di critica, sebbene forse non raggiunse l'impatto culturale universale della trilogia dell'Anello.
Dimostrò però la coerenza di Jackson nel perseguire le sue passioni, indipendentemente dalla scala.
Amabili Resti: un cambio di registro
Dopo la parentesi "gigante" di King Kong, Jackson si dedicò a un progetto più intimo, ma non meno ambizioso dal punto di vista visivo e tematico:
Amabili Resti (The Lovely Bones, 2009).
Tratto dall'omonimo romanzo di Alice Sebold, il film rappresentò una sfida diversa, mescolando il dramma familiare con elementi sovrannaturali e visivamente sontuosi per rappresentare l'aldilà visto dalla giovane protagonista assassinata.
Le reazioni furono più contrastanti rispetto ai suoi lavori precedenti, ma il film confermò la sua abilità nel creare mondi visivamente potenti, anche quando al servizio di una storia più delicata e dolorosa.
Il ritorno a Tolkien: Lo Hobbit
Il richiamo della Terra di Mezzo, tuttavia, era troppo forte per essere ignorato a lungo.
Inizialmente previsto solo come produttore e sceneggiatore (insieme alla fidata Fran Walsh e Philippa Boyens), con la regia affidata a Guillermo del Toro, il progetto di adattare Lo Hobbit subì diversi ritardi e cambi di programma.
Alla fine, fu Jackson stesso a tornare dietro la macchina da presa per dirigere non uno, ma ben tre film basati sul relativamente breve romanzo di Tolkien e sulle appendici de Il Signore degli Anelli.
La trilogia de Lo Hobbit (uscita tra il 2012 e il 2014) fu un'altra impresa produttiva enorme, girata nuovamente in Nuova Zelanda e sfruttando tecnologie ancora più avanzate, come le riprese ad alto frame rate (HFR) a 48 fotogrammi al secondo, una scelta che generò dibattito tra pubblico e critica per l'effetto visivo iperrealistico.
Sebbene accolti da un grande successo al botteghino, i film de Lo Hobbit non replicarono l'unanime consenso critico e l'affetto profondo riservato alla trilogia originale.
Molti lamentarono una certa diluizione della storia originale e un’eccessiva dipendenza dalla computer grafica rispetto al perfetto equilibrio tra effetti pratici e digitali di LOTR.
Lo stesso Jackson, in seguito, ammise le difficoltà di una pre-produzione affrettata dopo l'abbandono di del Toro, che non gli permise la stessa meticolosa preparazione avuta per LOTR.
Ancora una volta, emerge la figura di un regista pronto a gettarsi anima e corpo in sfide produttive estreme, pagandone talvolta lo scotto in termini di stress e pressione.
Il documentarista tecnologico
Dopo la seconda immersione nella Terra di Mezzo, Peter Jackson ha sorpreso molti spostando il suo interesse verso il documentario, ma applicando la sua maestria tecnica e la sua passione per il cinema in modi innovativi.
Con They Shall Not Grow Old – Per sempre giovani (2018), ha compiuto un lavoro straordinario:
restaurando, colorizzando e sonorizzando vecchi filmati della Prima Guerra Mondiale provenienti dall’Imperial War Museum.
Il risultato è un'opera potente e immersiva, che riporta in vita la storia con un realismo impressionante, dimostrando un profondo rispetto per il materiale d'archivio e per le vite dei soldati.
Qui ritroviamo l’artigiano che bucava la pellicola da ragazzino, ma con mezzi tecnologici quasi fantascientifici, sempre spinto dalla volontà di rendere l'immagine più viva e vera possibile.
The Beatles: Get Back
Questo interesse per il restauro e la rielaborazione di materiale d'archivio è culminato nel monumentale The Beatles: Get Back (2021), una docu-serie per Disney+ che rimonta ore e ore di girato inedito delle sessioni dell'album Let It Be.
Ancora una volta, Jackson utilizza la tecnologia non per creare mondi fantastici, ma per riportare alla luce la verità umana e artistica nascosta in vecchie pellicole, offrendo uno sguardo intimo e sfaccettato su uno dei momenti cruciali della storia della musica.
Il produttore e il mentore
Parallelamente alla regia, non va dimenticato il suo ruolo costante di produttore, attraverso la WingNut Films e la stessa Weta, supportando altri talenti e progetti ambiziosi.
Tra questi:
Neill Blomkamp per District 9
Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno (diretto da Spielberg)
Il più sfortunato, ma visivamente ambizioso, Macchine Mortali
Conclusione: la forza di un uragano
La carriera di Peter Jackson è dunque un percorso affascinante:
dal ragazzino neozelandese che girava horror amatoriali nel giardino di casa,
al regista premio Oscar capace di gestire produzioni tra le più grandi della storia del cinema, fino al documentarista innovativo che ridà vita al passato.
Un filo rosso unisce tutto:
una passione viscerale per il cinema, inteso come strumento per:
raccontare storie
creare mondi
sperimentare con la tecnica
e, in fondo, realizzare visioni che prima esistono solo nella propria testa
La sua storia rimane un'ispirazione.
La dimostrazione che, a volte, i sogni di un bambino con una Super 8 possono davvero avere la forza di un uragano e cambiare il panorama cinematografico mondiale.