L’incontro tra il bisogno umano di senso e l’indifferenza del mondo.
Questa frase potrebbe descrivere perfettamente la vita privata e la carriera di Tom Cruise. O almeno, è il modo in cui io vorrei aprire questa newsletter.
Doveva essere la recensione di Mission: Impossible – The Final Reckoning, il capitolo finale della saga. Ma mentre scrivevo, mi sono trovato sempre più spesso a deviare dal film per tornare a lui, al personaggio, all’uomo che questa saga l’ha costruita pezzo per pezzo sul grande schermo. A chiedermi il perché di certe scelte. A esplorare, anche solo in superficie, i tratti più particolari – e talvolta controversi – della sua vita.
Dalla fede cieca in Scientology alle problematiche personali con l’ex moglie, fino alla rigidità nei confronti dei collaboratori e della sua stessa famiglia: Tom Cruise è senza dubbio una delle figure più discusse del cinema contemporaneo. Ma è anche uno di quelli che, negli ultimi anni, il cinema – così come lo conosciamo – lo ha salvato. Non è una mia opinione: lo ha detto Steven Spielberg, dopo l’uscita di Top Gun: Maverick, che ha incassato 1 miliardo e 400 milioni di dollari. “Quest’uomo ha salvato il culo a Hollywood”, parole sue. Perché ha riportato il pubblico in sala. Ha restituito allo spettatore il rito.
Questa newsletter parlerà di Mission: Impossible, certo. Ma soprattutto parlerà del suo ideatore. Perché nel 1996 Tom Cruise fonda una società di produzione, la Cruise/Wagner Productions, e acquista i diritti di un franchise televisivo anni Sessanta, uno spy thriller da orario pomeridiano. Lo prende, lo reinventa, lo porta al cinema e ne fa uno dei franchise più redditizi della storia: oltre 4 miliardi di dollari incassati, e la sua trasformazione in uno degli uomini più potenti dell’industria hollywoodiana.
Thomas Cruise Mapother IV nasce il 3 luglio 1962 a Syracuse, New York. La sua infanzia è segnata da continui traslochi: cambia circa 15 scuole in 14 anni, vive almeno venti traslochi. Il rapporto con il padre è complesso, come spesso racconta: un uomo violento, abusante, dal quale si distanzia presto. È la madre la figura a cui si lega di più. A scuola, fatica: gli viene diagnosticata una dislessia in un’America che non aveva ancora strumenti per comprenderla fino in fondo. Cresce nell’inadeguatezza, nell’ostilità degli ambienti scolastici e relazionali. Ma forse è proprio in quel caos che si forgia la sua determinazione. La sua ossessione per la disciplina. Il suo mantra: “Don’t be careful. Be competent.”
Abbandona gli studi prima dell’università e inizia a muovere i primi passi tra teatro e piccole serie TV. Il cinema arriva presto, nel 1981, con Endless Love e Taps. Ma è nel 1985, con Legenddi Ridley Scott, che inizia a definire un personaggio. Seguono Risky Business (1983), Nato il 4 luglio (1989), Jerry Maguire (1996), Magnolia (1999). Film che lo consacrano, anche recitativamente.
Tom Cruise è l’attore che tutti vogliono, ma anche l’uomo che molti temono. È Maverick in Top Gun. È Ethan Hunt in Mission: Impossible. Ma soprattutto, è uno di quei rari casi in cui attore e personaggio si fondono fino a diventare intercambiabili. Come Robert Downey Jr. con Iron Man. Come Hugh Jackman con Wolverine. Tom Cruise è Mission: Impossible. E Mission: Impossible è Tom Cruise.
Come ci è riuscito? In primo luogo, scegliendo sempre registi di altissimo livello. Poi, controllando l’intero progetto come un vero e proprio showrunner. Infine, spingendo ogni volta più in là i limiti della trama, della messinscena, della spettacolarità. Il salto avviene dopo il terzo film della saga, quando Cruise decide che non userà più stuntman. Farà tutto da solo. E si addestra per anni, a livelli quasi militari, per diventare ciò che il personaggio dovrebbe essere se esistesse davvero. Una spia, un agente, un superuomo.
Cruise, tuttavia, non si limita ad affidarsi solo alla sua preparazione personale: sceglie registi di altissimo livello, capaci di valorizzare ogni singolo dettaglio tecnico e narrativo. Da Brian De Palma (per il primo Mission Impossible, 1996) a Christopher McQuarrie (per gli ultimi capitoli), passando per J.J. Abrams e Brad Bird, ogni nome aggiunge un capitolo fondamentale all’evoluzione del franchise. Cruise, da parte sua, assume il ruolo di showrunner: è lui a supervisionare lo script, a decidere le location, a gestire i casting e a indirizzare la strategia di marketing. In questo modo, la saga non diventa un semplice contenitore di scene spettacolari, ma un progetto cinematografico organico, coerente e riconoscibile.
Per quasi un decennio non gira altro che film della saga. Si allena. Progetta. Coordina. E costruisce l’azione più incredibile possibile. Questa dedizione al limite dell’ossessione alimenta le leggende: Cruise violento. Cruise fanatico religioso. Cruise che confonde sé stesso con Dio.
E in effetti, qualcosa c’è. Perché Cruise rifiuta la religione cristiana in cui è cresciuto e abbraccia Scientology: una chiesa nuova, un Dio del futuro, una religione fondata sul merito, sull’evoluzione, sulla scalata. E costruisce il suo cinema allo stesso modo: lo difende, lo alimenta, lo impone. Durante le riprese di Top Gun: Maverick e Dead Reckoning, in piena pandemia, è stato protagonista di numerosi episodi di tensione sul set. Ci sono audio che lo ritraggono mentre urla contro membri della troupe per il mancato rispetto delle regole di sicurezza. Per una corda usata senza certificazione. Per una mascherina abbassata. Il controllo è assoluto.
Scientology: una panoramica
Per comprendere meglio l’influenza di Scientology su Tom Cruise, è utile delineare i principi fondamentali di questa organizzazione. Fondata da L. Ron Hubbard nel 1954, Scientology si presenta come una religione che offre un percorso preciso verso la comprensione completa e certa della propria vera natura spirituale e della propria relazione con se stessi, la famiglia, i gruppi, l’umanità, tutte le forme di vita, l’universo materiale, l’universo spirituale e l’Essere Supremo .
Al centro della dottrina di Scientology vi è la convinzione che l’uomo sia un essere spirituale immortale, chiamato “thetan”, che ha vissuto e continuerà a vivere attraverso innumerevoli vite. Il thetan è considerato la vera essenza dell’individuo, che anima il corpo e utilizza la mente.
Il percorso spirituale in Scientology è strutturato attraverso una serie di livelli di consapevolezza e abilità, noti come “Ponte verso la Libertà Totale”. Questo percorso inizia con l’auditing, una forma di consulenza spirituale in cui un auditor guida l’individuo (preclear) attraverso una serie di domande per aiutarlo a superare traumi e influenze negative della “mente reattiva”. L’obiettivo iniziale è raggiungere lo stato di “Clear”, in cui l’individuo è libero dalle influenze della mente reattiva .
Dopo aver raggiunto lo stato di Clear, l’individuo può proseguire attraverso i livelli OT (Operating Thetan), che mirano a sviluppare ulteriormente le capacità spirituali del thetan. Questi livelli avanzati includono pratiche come l’auditing da soli e l’affrontare concetti complessi legati alla spiritualità e all’esistenza.
È importante notare che l’accesso a questi livelli comporta costi significativi. Secondo alcune fonti, il costo per raggiungere lo stato di Clear può aggirarsi intorno ai 25.000 euro, mentre per completare i livelli OT fino al livello OT VIII, il più alto attualmente disponibile, i costi possono superare i 250.000 euro .
Ed è qui che emerge un dettaglio quasi metafisico: Tom Cruise non batte ciglio. Mai. È come se tenesse costantemente gli occhi aperti sull’obiettivo, su Dio, sul cinema. Sulla morte.
Perché Dead Reckoning – al di là dei suoi difetti (e ce ne sono: trama espositiva, personaggi prevedibili, risposte mancate) – non è solo un film. È un epilogo. È la chiusura di un cerchio lungo trent’anni. Ed è lì che Cruise diventa il nostro Sisifo. Un uomo che ha portato il peso del cinema sulle spalle, lo ha trascinato, sollevato, salvato. Per poi vederlo rotolare giù. E dover ricominciare da capo.
Il masso rotola, il ciclo si rinnova. Cruise riparte. Di nuovo.
Ma c’è un altro aspetto ancora più profondo. Tom Cruise ha costruito una figura, un’identità, un mito personale che non teme la morte. Anzi, la sfida. La mette in scena. La usa come contrasto alla propria idea di permanenza.
Perché legarsi a un aereo in decollo o lanciarsi in moto da una scogliera norvegese non sono solo stunt. Sono rituali. Sono atti simbolici. Sono gesti religiosi.
La filosofia di Scientology si basa su un percorso di ascesa, fatto di livelli, esami, meriti. Si conquista. Si merita. Si scala. E Tom Cruise ha traslato questo impianto nel suo cinema: si sopravvive solo attraverso la conquista. Solo combattendo la morte. Solo lasciando un segno.
E allora ecco il cuore: la pellicola è immortalità. Il cinema è permanenza. Un volto impresso su uno schermo rimane lì per sempre. Come una fotografia tramandata tra generazioni. Un attimo di vita fissato, che rifiuta la decomposizione. Cruise combatte la morte in ogni scena, in ogni salto nel vuoto, in ogni occhiata lanciata alla macchina da presa senza battere ciglio.
Vuole attraversare il confine. Arrivare dove risiede il Thanatos. Affacciarsi sull’abisso. E restare in piedi.
Perché, come scrive Camus, la morte è l’ultima verità che rende precarie tutte le costruzioni umane. Ma allora, se vogliamo resistere alla precarietà, dobbiamo trovare un modo per vivere per sempre.
E Tom Cruise, in qualche modo, ce l’ha fatta.