Ho una domanda che mi frulla in testa da parecchio tempo, e credo che oggi, più che mai, abbia un peso specifico enorme: cosa significa scegliere?
Ci troviamo in un mondo sovraccarico di possibilità: informazioni multiple, piattaforme diverse, scelte pressappoco infinite… Eppure, paradossalmente, spesso deleghiamo le nostre decisioni a soluzioni semplici e rassicuranti, magari perfino a figure “autoritarie” che, con il pretesto di aiutarci, ci sollevano dal peso di decidere. Ma come siamo arrivati fin qui?
Tralasciamo gran parte dell’antropologia, dove si accenna all’evoluzione della scelta dagli ominidi ai clan, dagli individui ai gruppi di persone, e arriviamo direttamente al momento in cui abbiamo iniziato ad avere coscienza e consapevolezza di noi stessi. Parlo di quando abbiamo sviluppato la capacità di introspezione e riflessione, riconoscendola come parte di noi.
Possiamo già delineare una prima risposta:
la scelta nasce dalla necessità di proseguire un percorso, che sia questo istintuale (pensiamo ai primi uomini e alle prime donne) o ponderato e libero, come accade in buona parte dei Paesi democratici.
La scelta è un risultato: l’esito di una lettura critica interiore delle proprie intenzioni e di una lettura critica delle intenzioni esterne.
Cerchiamo di semplificare ulteriormente: il paradosso della pallina
Per capire meglio, proviamo un esperimento mentale: immaginiamoci una piscina stracolma di palline colorate, ognuna delle quali rappresenta uno stimolo decisionale. Ci immergiamo e ne prendiamo due, una per ogni mano. All’uscita, però, troviamo un cartello che ci avvisa: “Potete portare con voi una sola pallina”.
• Nella mano destra c’è la pallina che sussurra messaggi accattivanti e rassicuranti. Frasi come: “Ti capisco”, “Non preoccuparti, faccio io al posto tuo”, “Tutto è bianco o nero, fidati di me”, “Ho io la verità universale”. In sintesi, una promessa di semplificazione estrema: “Non pensare, decido io per te, per tutti”.
• Nella mano sinistra, invece, c’è una pallina che dice pochissimo, anzi quasi scoraggia: “Sono troppo complessa, troppo profonda; se non hai voglia di entrare nei dettagli, lasciami qui”. Non sappiamo se lo faccia volontariamente, ma ci fa sentire inadeguati. Si lascia immaginare come piena di paroloni, concetti lontani, a tratti addirittura eterei.
È per un riflesso quasi automatico che la maggior parte di noi sta iniziando a scegliere la pallina di destra. Perché? Perché l’essere umano ha un “algoritmo interno” che lo spinge a semplificare: un retaggio di quando dovevamo decidere rapidamente se cacciare o scappare. In un mondo complicato, l’idea che qualcuno o qualcosa semplifichi le opzioni per noi è irresistibile.
Dobbiamo ricordarci che la spiegazione più semplice non è necessariamente quella corretta; tuttavia, è sempre utile evitare complicazioni inutili. Due lati della stessa moneta: ed è proprio qui che tutto si fa più interessante.
La Scelta: è davvero binaria?
A questo punto, una domanda: “Siamo sicuri che scegliere sia sempre e solo binario?”.
Nella vita di tutti i giorni (mangio pizza o hamburger? Esco o resto a casa?) la forma sì/no semplifica la questione.
Ma nella società di oggi, sovraesposta a input infiniti, le scelte non sono più semplicemente “o A o B”: abbiamo a disposizione una gamma vastissima di sfumature, fonti, informazioni. Siamo circondati da un pool di opzioni spaventosamente grande.
Ecco la contraddizione: mentre cresce la nostra libertà di scegliere (almeno in teoria), cresce anche il senso di smarrimento. Come possiamo essere certi della strada che imbocchiamo? E come gestiamo tutte le altre porte che, scegliendo, chiudiamo?
Quando l’abbondanza diventa fuga dalla libertà
Il concetto di scelta si è complicato insieme alla società, ai bisogni e alle opportunità. All’aumentare delle opzioni, aumentano anche i pericoli di manipolazione o di “overload”: davanti a troppe strade, siamo tentati dalla più facile o dalla più battuta.
Non è un caso che questa “fuga dalla libertà”, come diceva Erich Fromm, si concretizzi in un bisogno quasi infantile di affidarsi a un’autorità semplificatrice. Ecco che entra in scena ciò che potremmo definire un autoritarismo soft: una forma di potere apparentemente meno rigida, ma che di fatto ci solleva dalla responsabilità (e dalla fatica) di pensare in modo critico.
Trumpolicesimo: la nuova religione
Se sostituiamo la metafora della piscina di palline con la realtà politica, vediamo emergere figure che promettono di risolvere tutto. Leader carismatici, pagine social, gruppi Telegram che offrono risposte pronte e lineari. È un modo di ridurre la complessità a un paio di slogan, magari puntando il dito contro un nemico di turno (le “palline gialle” o quelle “blu”, gli immigrati o la “teoria gender”) e alimentando teorie complottiste.
Un esempio lampante è ciò che definisco Trumpolicesimo: un’ideologia che si erge a “religione” per un buon numero di cittadini.
Donald Trump (e chiunque adotti strategie comunicative simili) diventa un messia che semplifica la realtà in dicotomie nette, dando la sensazione di restituire al popolo un potere decisionale.
In realtà, vende risposte preconfezionate, rassicuranti, che non richiedono un vero sforzo di analisi. Puro populismo, non sbagli mai così.
Trump si sta costruendo una “chiesa” con i suoi profeti, discepoli e milioni di proseliti: una religione che, come tutte quelle che l’hanno preceduta, nasce dalle macerie, dalle idee, dagli scritti e dai riti di ciò che l’ha anticipata. Per citare un esempio estremo: “Elon Musk che fa il saluto fascista a una folla di decine di migliaia di persone”. Oppure: definire, tramite scritti – in questo caso gli ordini esecutivi di Donald “The DUCK” Trump – chi, cosa e come devono essere maschi e femmine (sessualmente parlando), eliminando tutto il prima e tutto il dopo o di chi può o meno rimanere nel paese .
Insomma, ci apprestiamo a vedere proliferare un nuovo credo in cui l’assurdo diventa normalità, ciò che era importante diventa un capriccio della sinistra (o dei “rompiscatole”) e in cui “futuro” e “lungo termine” vanno a farsi fottere.
Benvenuti nel Trumpolicesimo: qui le scelte sono già state fatte. Prendete il vostro volantino e andate avanti, grazie.
L’attenzione contro il rumore
A proposito di Trump e dell’eco mediatica che lo circonda, mi ha colpito la riflessione della giornalista Luciana Grosso, che sottolinea come la caratteristica più “trumpiana” di tutte sia proprio il rumore. Trump – per indole o per calcolo, scrive Grosso – è un generatore costante di clamore: fa parlare di sé e la stampa (spesso isterica) finisce per amplificare ogni sua uscita, ogni boutade o provocazione.
Questo “rumore” – un sovraccarico di dichiarazioni, polemiche, slogan martellanti – rischia di coprire ciò che davvero conta, rendendo più difficile concentrarsi sulle questioni importanti o pericolose. Luciana Grosso sottolinea che il rumore manda a pallino l’attenzione, la disinnesca, distraendoci da quello che succede davvero.
La soluzione? Paradossalmente sta nel coltivare proprio l’attenzione, che può disinnescare il rumore. Vuol dire leggere, osservare, studiare, non saltare alle conclusioni e mantenere la calma anche quando tutto sembra gridare.
Se, come scrive Grosso, i prossimi anni saranno pieni di “cose brutte” e “rumore”, la strada più saggia potrebbe essere abbassare il volume delle polemiche e puntare i riflettori sulle questioni di fondo. È un consiglio che si sposa perfettamente con la nostra ricerca di consapevolezza nella scelta: quando il chiasso mediatico si fa assordante, scegliere lucidamente diventa ancora più difficile.
Liberi di scegliere?
Torniamo quindi alla domanda iniziale: “Cosa significa scegliere?”.
Da sempre l’essere umano ha dovuto decidere come sopravvivere. La differenza è che, un tempo, le opzioni erano poche e la libertà (spesso) limitata; oggi, almeno in certe parti del mondo, la “libertà di scelta” è potenzialmente enorme, eppure ci ritroviamo a delegarla, in cerca di un’autorità che ci semplifichi la vita. È un fenomeno che tocca la politica, l’informazione, le relazioni: azzarderei a dire, tutto.
Il vero nodo, allora, è: come possiamo mantenere la nostra libertà senza cadere nel fascino di queste palline-scorciatoia? Come imparare ad abbracciare la complessità, accettando che ogni scelta ci esclude da qualcos’altro, ma allo stesso tempo contribuisce alla nostra crescita?
E, soprattutto, come sviluppare quella coscienza critica che ci permette di distinguere tra “una guida” e “un’autorità che ci toglie autonomia”?
Forse la risposta sta in una consapevolezza più profonda dei meccanismi di semplificazione che governano la nostra mente, nel ricordarci che la libertà non è soltanto un diritto, ma anche un lavoro quotidiano di selezione responsabile. In una società che ci ripete “Puoi avere tutto”, il paradosso è che alla fine possiamo scegliere una sola cosa: la pallina rassicurante o quella complessa.
La vera sfida è trovare la volontà (e la forza) di non lasciare a terra la seconda.