DISCLAIMER:
Sono un paio di giorni che la piattaforma dalla quale invio questa mail da dei problemi nell’incorporare la musica da Spotify, troverete titoli e autori di alcuni brani durante la lettura, vi invito a sentire le canzoni durante la lettura o subito dopo. Grazie per la comprensione!
Più precisamente: qual è la funzione del mezzo cinematografico, in tutte le sue forme e declinazioni?
A questa domanda si può rispondere in molti modi, non tutti validi secondo me. Possiamo però provare a ruotare intorno a due cardini fondamentali, presenti fin dalla nascita del cinema:
Intrattenimento e meraviglia
Portare una storia al pubblico, spesso distante da ciò che viene rappresentato
Questi erano i motivi che hanno mosso il primo cinema dell’inizio del ‘900. Non è un caso che i primi a sperimentare con questo nuovo medium siano stati i prestigiatori dell’epoca. La meraviglia risiedeva nel far muovere le immagini, che altrimenti sarebbero rimaste statiche: fotografie incapaci di abbracciare lo scorrere del tempo, di restituire il suo fluire e la sua inafferrabilità.
Perché, tra le tante cose che fa il cinema, c’è anche questa: ci offre la percezione netta che ciò che chiamiamo tempo non esiste nel modo in cui vorremmo controllarlo. È inafferrabile, e noi possiamo solo scegliere come partecipare al suo scorrere, incastrarci in esso e sperare che tutto vada per il meglio.
E questo è anche quello che fa la serie di cui vorrei parlarvi: viaggiare attraverso il tempo cercando di sopravvivere. Ma ci arriviamo.
Le origini del cinema: illusione e sogno
Dicevamo che il cinema è stato, fin da subito, il regno dei prestigiatori, come Georges Méliès. Di coloro che sognavano di vedere un cavallo correre in sequenza, scatto dopo scatto, come in Sallie Gardner at a Gallop di Eadweard Muybridge. Di chi vedeva nella lanterna magica una rappresentazione più aderente alla realtà, ma con un piede sempre piantato nel mondo della meraviglia.
Per la prima volta si poteva assistere a qualcosa che fino ad allora apparteneva solo ai sogni e ai ricordi: immagini che si muovevano e mimavano la realtà.
Quando i fratelli Lumière proiettarono L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, gli spettatori scapparono terrorizzati. Credevano che il treno stesse realmente per travolgerli.
In questo evento c’era già il seme di ciò che il cinema era e sarebbe stato: un racconto di immagini e suoni che, oggi, scorrono nelle nostre tasche senza lasciarci il tempo di pensare e di immaginare. In un certo modo abbiamo delegato anche questo.
Da qui deriva il secondo principio: raccontare storie al pubblico. Il cinema ha permesso di trasportare una stazione ferroviaria dentro una stanza buia, di mettere un uomo sulla Luna, di mostrare creature fantastiche provenienti da montagne lontane, città utopiche, futuri tecnologici e persino gli orrori della guerra. Durante la Seconda Guerra Mondiale, registi come John Ford e fotografi come Robert Capa furono inviati sul fronte per documentare e mostrare agli americani la realtà del conflitto, contribuendo sia alla consapevolezza pubblica sia alla raccolta di fondi per lo sforzo bellico.
Da queste radici il cinema è cresciuto ed evoluto, trasformandosi in televisione, smartphone, piattaforme streaming. La nostra innata fame di narrazione e stupore è probabilmente più forte della vita stessa.
Euphoria: un'esperienza emotiva e musicale
Tutto questo mi ha portato a una serie TV che ho recuperato molto tardi e che ho finito di vedere qualche settimana fa. Mi è servito del tempo per digerirla e tirarne fuori qualcosa di mio.
Ciò che segue è il risultato delle mie riflessioni ed emozioni.
Le due stagioni di Euphoria esemplificano perfettamente la risposta alla domanda iniziale, aggiungendo inoltre un altro aspetto cruciale: Qual è lo scopo della colonna sonora?
Proviamo a rispondere unendo immagine e musica.
Euphoria, creata da Sam Levinson per HBO, affronta con coraggio temi difficili come la violenza, l'adolescenza travagliata, l'amore e le dipendenze. Lo fa con un approccio visivo volutamente provocatorio (dutch angle narrativo), portando lo spettatore al limite emotivo. È una serie che stimola, provoca e mantiene costantemente viva l’attenzione. La vita che descrive è quella che tutti noi, in qualche modo, viviamo: fatta di violenza, passioni intense, incomprensioni e tradimenti.
Euphoria parla direttamente a ciascuno di noi. Euphoria parla di me e di te.
Con la coerenza di due principi fondamentali:
Setup e payoff: Il setup introduce elementi narrativi che troveranno risoluzione nel payoff, creando così una struttura coerente e soddisfacente per lo spettatore
La pistola di Chekhov (ogni elemento introdotto deve avere un ruolo e un impatto successivo, quindi ogni elemento mostrato in una storia deve avere uno scopo.)
Seguendo questi due semplici principi, la serie porta lo spettatore dentro la storia con flashback iniziali, momenti nel presente e epiloghi che chiudono fili narrativi aperti, rimettendo a posto storie, oggetti, persone e idee.
Ma lo fa lasciando nulla al caso per la narrazione, e tutto allo spettatore per la comprensione e la decisione finale.
Quella che ti fa dire: sì, ho capito cosa ha provato, oppure no, non sono d’accordo, o ancora sono curioso, voglio provare anche io questa cosa.
O, infine – ma non per importanza – per riempire quello spazio volutamente lasciato vuoto dalla narrazione fuori campo di Rue (Zendaya), ma pieno di immagini e musica che restituiscono un’intuizione: sta a te prenderla e farla tua.
Impostiamo il mood di ciò che sto per scrivere:
(🎵 Never Tear Us Apart – INXS)
Forse una delle sequenze che mi è rimasta più impressa è quella in cui Cal, il padre di Nate, ubriaco, prende la sua vecchia Jeep e guida fino al piccolo pub gay visto in una puntata precedente.
Quella volta, Cal c’era stato con Derek, suo amico e primo amore. La scoperta della sua omosessualità, quel ballo davanti al jukebox, quell’abbraccio nostalgico e pieno di tutto ciò che non avrebbero mai potuto vivere.
E lo ritroviamo, visivamente ed emotivamente – ecco la pistola fumante di Chekhov – nella quarta puntata della seconda stagione (You Who Cannot See, Think of Those Who Can), accompagnato da una canzone che parla d’amore e di guerra, sublimando la difficoltà di costruire e mantenere relazioni.
Questa è la canzone: 🎵 Drink Before the War – Sinéad O’Connor.
La consapevolezza dolorosa della propria omosessualità impossibile da accettare a causa delle rigidità del padre e l'amore ricambiato per Derek emergono con forza nella memoria: quel ballo intimo davanti al jukebox, quell'abbraccio triste e nostalgico, carico di tutto ciò che non avrebbero mai potuto vivere completamente. Questi ricordi riemergono potentemente, sia visivamente che emotivamente, nel finale della quarta puntata della seconda stagione, "You Who Cannot See, Think of Those Who Can". Il brano "Drink Before the War" di Sinéad O’Connor amplifica l'intensità della scena, sublimando in modo unico le difficoltà che caratterizzano ogni relazione umana.
Perché ho amato Euphoria?
Perché riesce a creare un ritmo emotivo profondo e avvolgente, quasi una sinfonia visiva in cui ogni immagine e ogni nota della colonna sonora si fondono in un'unica esperienza sensoriale ed emotiva. Questo approccio apre spazi narrativi intenzionalmente incompleti, invitando lo spettatore a inserirvi la propria esperienza personale, i propri dubbi e desideri più profondi. È raro trovare opere che accettino così coraggiosamente di affidare al pubblico il compito di completare e arricchire la narrazione con le proprie emozioni e riflessioni, trasformando ogni visione in un viaggio profondamente personale e unico.
Raramente si trova un prodotto che indugia tanto sulle sequenze in cui ci sono solo immagini e musica, quasi fosse un musical, e che volontariamente ti dica: fai ciò che vuoi con ciò che stai vedendo.
Tensione.
Tendere,
quasi toccare,
mai afferrare.
Euphoria.
Compito della settimana
Porta la tua immaginazione in un luogo nuovo e poco confortevole. Avvicinati al centro della tua narrazione, ma fermati appena prima di raggiungerlo. Conserva ogni dettaglio del viaggio e lascia ad altri il piacere di scoprire come finirà.