Partiamo da un presupposto: il cinema italiano non mi fa impazzire. Tranne rarissime eccezioni.
So perfettamente che il cinema italiano è stato meta e porto, luogo da cui attingere talenti, ideatore di generi, costruttore di mondi tangibili, al contrario di altre industrie che hanno puntato alla ricerca dell'ideale, come vi raccontavo nella scorsa edizione di questa newsletter.
Lungi da me quindi criticare il cinema che è stato, anche perché la distanza temporale con quei film ci dà la possibilità di saggiare la malinconia dei tempi passati ma anche di porci una domanda: “Come possiamo ritrovare lo spirito che animava quel cinema, evolverlo, svilupparlo e portarlo a essere di nuovo vivo nel 2025?”
Ho il timore che negli anni qualche produttore ci abbia anche provato a “rianimare” quello spirito, ma il risultato è stato molto Frankensteiniano.
Non mi entusiasma perché, essendo stato storicamente molto sovvenzionato dal Ministero dei Beni Culturali, è diventato “semplice” fare film: per ottenere i fondi bisognava soltanto rientrare negli standard dei bandi, accettare vincoli su budget, numero di persone assunte, contratti e location di ripresa. Non dico che questo sistema abbia causato la “morte” del nostro cinema, ma certo ha reso l’impegno minimale: a volte bastava scegliere una regione che potesse beneficiare di un indotto turistico per accaparrarsi esenzioni fiscali e contributi.
Provo ad andare più nel profondo della mia idea, ho timore che sia divisiva, tanto meglio, accenderemo il dialogo. In Italia esiste il Tax Credit per il cinema creato con la finanziaria del 2008 e poi assorbito dalla legge 202/2016 (conosciuta come legge o decreto “Franceschini”). Il governo era quello di Renzi e l’idea era di dare nuovo respiro a un’industria che stava già stagnando.
Semplifico il funzionamento perché non scrivo di economia: il credito è “after-spending”, quindi le produzioni pagano e poi richiedono una parte dello sconto alle tasse dell’anno corrente e una la ricevono nell’anno, o negli anni, successivo.
Ho trovato due stime:
1 € di spesa genera 3,54 € di PIL (studio CDP);
ogni €1 di tax credit genera circa €0,60-0,80 di imposte dirette e indirette fra IVA, IRPEF e contributi (ANICA).
Fin qui tutto bene, siamo contenti di avere un taglio dei costi per la produzione cinematografica e siamo contenti che questo tax credit sia in linea con quello di paesi come la Francia (che è l’unico paese europeo che sa fare cinema) e che sia anche migliore di quello della Germania. Bello!
Tuttavia, come sempre, abbiamo un rovescio di questa medaglia dorata: la mancanza di controllo sulle domande inoltrate al Ministero e la conseguente approvazione di queste richieste. Il tutto ha portato a due outcome, a mio dire negativi, come frodi – ne è un esempio il quasi milione di euro dato a un regista che non esiste e che forse è una delle identità usate dall'assassino di Villa Pamphili a Roma – e la sovvenzione di centinaia di film che non hanno mai raggiunto la distribuzione, in alcuni casi anche la fine della produzione stessa.
Di conseguenza si è prodotto di tutto e tanto. Nel 2023 si sono prodotti circa 402 film in Italia, nel 2024 circa 360, sono dati ANICA. Si è prodotto un film al giorno e la distribuzione dei prodotti finiti ha, ad oggi, un ritardo di almeno 18 mesi sull’anno di produzione. Nel 2025 usciranno film girati a fine 2023.
I film direct-to-digital sono 65-70, mi viene in mente “Il segreto di Liberato”, per esempio. Una buona parte di queste uscite digital first riguardano contratti di produzione presi e gestiti direttamente dalle piattaforme o sono dei documentari che in Italia, essendo un paese che da sempre sta avantissimo nella divulgazione, destiniamo a rassegne di secondo pubblico ai festival, allungando il cartellone di Prime, Disney+, Netflix etc.
Per chiudere questo segmento sul tax credit: è un’idea che funziona ma necessita di una ristrutturazione che tenda a selezionare progetti che hanno respiro da botteghino e da nicchia, e che riporti il rispetto per il mezzo. Mi fa tristezza vedere il comparto cinematografico soffrire per una mancanza di visione, per una battaglia ideologica fra ministri della cultura, fra governi e fra archi parlamentari. Adesso si vuole dare spazio alla destra nel cinema che ha sempre sofferto la loro messa all'angolo. Mediocri portatori di idee che soffrono la loro bassa statura.
Il cinema in Italia ha bisogno di una spolverata, ho paura però che coloro che lo vogliono restaurare camminino a pieno nel solco dello spirito Restauratore.
In questo marasma emergono però titoli anche di buona fattura, pochissimi diventano cult, rarissimi entrano davvero nella storia. Oggi vorrei parlare di uno di questi, uno di quei film che si possono definire belli: FolleMente (2025, commedia di Paolo Genovese), un esempio riuscito di intrattenimento popolare che riesce a unire leggerezza e narrazione di qualità.
Il problema dell’industria italiana
Il punto fondamentale è che in Italia non produciamo più “in serie”. Una volta esistevano schiere di sceneggiatori, soggettisti, diciamo artisti legati alla creazione di idee che venivano selezionate da registi e produttori, e si realizzavano film da botteghino e film d’autore in parallelo: da un lato la commedia popolare, di richiamo, che assicurava il ritorno economico; dall’altro i lavori “di nicchia” che, pur avendo budget più contenuti, lanciavano nuovi talenti (i primi film di Paolo Sorrentino, di Matteo Garrone, di Nanni Moretti, giusto per non citare i grandi artisti del passato). Oggi, invece, le idee “intrattenenti” italiane sono spesso remake o adaptation di successi stranieri:
Perfetti sconosciuti (2016), diretto da Paolo Genovese, campione d’incassi con oltre 16 milioni di euro al box office;
The Place (2017), sempre di Genovese, ispirato alla serie tv americana The Booth at the End, dove Valerio Mastandrea interpreta l’uomo misterioso che esaudisce desideri in cambio di compiti eticamente ambigui.
Questa dipendenza creativa ci priva di originalità: le nostre idee più accattivanti non sono più “nostre”, ma importate. Voglio fare un inciso: le idee originali non esistono. La base delle opere cinematografiche o bibliografiche gira attorno a pochi elementi che di volta in volta subiscono leggere variazioni e, allora, dove si trova il colpo di genio, come si crea un film che entra nella storia? Con il twist, con quell’effetto che ti fa dire: “Ma come cavolo t’è venuto in mente?”
Quindi non è un male rivedere opere di altri in chiave propria, però una volta ogni tanto la vogliamo pensare una cosa per il 45% nuova?
Oppure, e qui si nasconde un altro dei problemi del nostro cinema, lo spazio per chi ha idee “nuove” non c’è, o meglio, è appannaggio di feudi familiari?
Lascio a voi rispondere.
FolleMente: “Inside Out” all’italiana
FolleMente è la proposta italiana che, pur prendendo spunto da Inside Out (2015, regia di Pete Docter), funziona da sé. Ecco le coordinate principali:
Regia: Paolo Genovese;
Sceneggiatura: Genovese con Isabella Aguilar (è stata mia insegnante di sceneggiatura), Lucia Calamaro e Flaminia Gressi;
Cast: Edoardo Leo (Piero), Pilar Fogliati (Lara), Marco Giallini (Professore), Rocco Papaleo (Valium), Claudio Santamaria (Eros) e Vittoria Puccini (Giulietta);
Produzione: Lotus Production (proprietà degli eredi di Sergio Leone) e Rai Cinema in co-produzione con Leone Film Group (proprietà degli eredi di Sergio Leone);
Riprese: Roma, ottobre 2024;
Distribuzione: anteprima 8 febbraio 2025, nelle sale dal 20 febbraio 2025 con 01 Distribution;
Riconoscimenti: Nastro d’Argento 2025 per la migliore commedia;
Trama: Piero e Lara si conoscono in un bar e trascorrono il primo appuntamento a casa di lei. Le rispettive emozioni interiori – Razionale, Romantico, Eros, Disincantato per lui; Alfa, Trilli, Scheggia, Giulietta per lei – animano i loro dibattiti interiori, tra imbarazzi e colpi di scena sentimentali.
Genovese costruisce un set mentale dove gli oggetti, i quadri, i dischi e i ricordi dei protagonisti occupano spazi “confusionari”, riempiendo di senso ogni scena. Le emozioni non sono compartimentate ma si contaminano: proprio come nella nostra memoria.
Devo ammettere che la scenografia del film mi ha conquistato.
Non solo l’impianto scenico della location principale, la casa di Lara, ma anche la materializzazione delle menti dei personaggi, autentica dimora delle loro emozioni primarie.
È evidente il lavoro di ricerca sulla psiche e sull’inconscio: il film mostra come la parte sommersa dell’io – messa in evidenza soprattutto nel finale – sia quasi un’entità autonoma, dotata d’intelligenza propria e capace talvolta di spingerci verso decisioni che non sentiamo davvero nostre. Da qui nasce, per esempio, il fallimento: la nostra caduta da cavallo, che ci obbliga a contemplare la verità. La realtà che credevamo di vivere – il cavallo – era guidata da una volontà altra. Possiamo allora risalire in sella restando inermi di fronte al cambiamento, oppure imparare davvero a cavalcare.
Il film suggerisce tutto questo con eleganza, alternando costantemente riflessione e sorriso, retro-pensieri familiari e domande nuove su comportamenti che, visti sullo schermo, risuonano profondamente anche dentro di noi.
Il valore dell’intrattenimento
Per me, il cinema non deve servire solo agli intellettuali o alla denuncia sociale (cosa assolutamente nobile): serve anche a intrattenere. E quando un film riesce a fare entrambe le cose – parlare a più livelli di pubblico, emozionare e divertire – diventa cult. FolleMente non mira all’Oscar, non è un capolavoro autoriale come “Vermiglio” (di cui parlerò in un’altra newsletter), ma è un prodotto di ampio respiro che incassa al botteghino (primo weekend da quasi 4 milioni di euro) e resta in sala per settimane, trascinando spettatori di ogni estrazione sociale.
Dobbiamo quindi ricordarci, e questo lo dico anche a me stesso, che il cinema è bello sempre, anche visto doppiato (lo dico di nuovo a me stesso e anche a qualche lettore di questa newsletter). Il cinema, i film, devono intrattenerci, letteralmente, trattenerci dal fare altro. Devono essere il nostro personale mezzo per esperire vite ed emozioni che sono lontane da noi ma che sono scritte nel nostro DNA caratteriale. Sedersi in una sala è aprirsi all’armonia che ti fa risuonare con qualcosa che non hai mai provato prima non perché inconoscibile, ma perché inconsapevole.
In un’epoca in cui guardiamo film con il telefono in mano o la TV di fianco, la sfida è tenere lo spettatore concentrato per 90 minuti: e FolleMente ci riesce. Riesce a farci ridere, immedesimare, ipotizzare, emozionare. La narrazione ad “arco” (o “a cerchio”) è completa, semplice senza essere vuota, accessibile senza banalizzare.
Se avete una domenica pomeriggio libera, vedetevelo.
Hey, I’ve started an account where I collect some out of context captions of great films in cinema history. Just wanted to share it with the cinephiles around here : https://substack.com/@pariscinema?r=1x6h4r&utm_medium=ios&utm_source=profile